Il concetto di conflitto è un elemento centrale nello studio delle scienze sociali. Diversi approcci sociologici hanno provato a fornire una definizione e un'analisi del concetto in modo più o meno esauriente. Da Marx (e la sua teoria di classe in una chiave strutturale) a R. E. Park (che propone il conflitto come una forma cosciente di competizione in un paradigma di ecologia urbana), da Coser (che ne ha proposto una classificazione) a Collins (concentrato sul movimento istituzionale) , il conflitto ha rivestito un ruolo sempre fondamentale per interpretare le dinamiche di mutamento delle società nel lavoro dei sociologi.
Tentare una definizione del concetto che comprenda le sfumature dei diversi approcci è un'impresa impossibile, pena la sinteticità che una voce di glossario
richiede.
Per evitare l'imbarazzo è possibile rifarsi alla definizione che Luciano Gallino presenta nel suo Dizionario di Sociologia (UTET, 1993): laddove il conflitto sociale è definito come "un tipo di
interazione più o meno cosciente tra due o più soggetti individuali o collettivi, caratterizzata da una divergenza di scopi tale, in presenza di risorse troppo scarse perché i soggetti possono
conseguire detti scopi simultaneamente, da rendere oggettivamente necessario, o far apparire soggettivamente indispensabile, a ciascuna delle parti, il neutralizzare o deviare verso altri scopi o
impedire l'azione altrui, anche se ciò comporta sia infliggere consapevolmente un danno, sia sopportare costi relativamente elevati a fronte dello scopo che si persegue".
Elementi centrali della definizione: la presenza di risorse scarse che rende per gli attori in gioco oggettivamente o soggettivamente (gli attori si rappresentano la situazione ed è la loro
rappresentazione a indicare il quadro di riferimento dell'azione, non l'oggettività della situazione) utile ricorrere allo scontro con l'altro.
All'interno di una logica razionale, dunque, il conflitto appare come il costo minore da sopportare in previsione di un fine da raggiungere. Sebbene non sempre sia così, è evidente che la
rappresentazione dell'attore tale faccia apparire il conflitto.
Un aspetto, infine, importante da considerare nelle discussioni sociologiche riguardanti il conflitto è la sua caratterizzazione come fenomeno patologico: molti autori, infatti, ritengono inadeguato
considerare il conflitto come una forma di patologia sociale, ma preferiscono piuttosto parlare di risorsa da incanalare al fine di generare pacifici cambiamenti sociali.
Quanto è utile considerare, dunque, è lo stretto rapporto che esiste tra conflitto e dinamica della società.
Il conflitto può essere definito, anche,come la presenza, nel comportamento di un individuo, di assetti motivazionali contrastanti rispetto alla meta. In altri termini il conflitto in psicologia
indica uno scontro tra ciò che una persona, o il proprio gruppo di appartenenza, desidera e un'istanza interiore, interpersonale o sociale che impedisce la soddisfazione del bisogno, dell'esigenza o
dell'obiettivo connessi a tale desiderio.
Il conflitto è in stretto legame con la frustrazione poiché i desideri, i bisogni e le esigenze spesso continuano a sussistere anche se sono tra loro apparentemente inconciliabili o comunque opposti
come avviene, ad esempio, tra la golosità e il mantenere un buon aspetto fisico o tra la voglia d'indipendenza e la necessità di protezione nell'adolescente; il conflitto può essere più o meno
cosciente, al limite opposto inconscio: un adolescente ad esempio spesso rifiuta o nega la dipendenza dai genitori o da chi si cura di lui, ma al contempo è cosciente di averne oggettivamente bisogno
per la sua sopravvivenza ovvero di non essere completamente autonomo.
Va inoltre distinto un conflitto interiore (nella mente della singola persona) da un conflitto sociale (tra due o più persone o gruppi) tenendo anche conto delle varie sfumature del concetto di
conflitto date dalle varie correnti della psicologia.